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07 Marzo 2023

Professioni sanitarie. Carenza continua di medici e infermieri, ma non solo

La stima è che già oggi, tra ospedale e territorio, ne manchino più di 85mila. Una Academy per la telemedicina e un corso per diventare direttore di distretto

La III Giornata nazionale del personale sanitario, socio-sanitario, socio-assistenziale e del volontariato ci ha fatto ricordare quanto siano importanti i lavoratori di questo settore. L’evento è stato promosso dalle Federazioni e dai Consigli nazionali degli Ordini delle professioni socio-sanitarie: medici e odontoiatri, infermieri, farmacisti, medici veterinari, tecnici sanitari e professionisti della riabilitazione e prevenzione, ostetriche, chimici e fisici, fisioterapisti, psicologi, biologi, assistenti sociali.

Durante la pandemia sono stati 500 i decessi tra i professionisti sociosanitari, la Giornata è dedicata a loro. Purtroppo continuano a mancare – soprattutto medici di famiglia e infermieri – e non sono sufficienti al fabbisogno del Paese. Grande speranza viene riposta nei fondi del Pnrr-Piano nazionale di ripresa e resilienza. Oltre che nelle riforme, in una sanità territoriale e un accesso meno restrittivo alle professioni sanitarie (a cominciare dalla facoltà di Medicina). 

Tra il 2010 e il 2020, in Italia sono stati chiusi 111 ospedali e 113 Pronto soccorso e tagliati 37mila posti letto. La stima è che già oggi, tra ospedale e territorio, manchino più di 20mila medici e 65mila infermieri. La carenza di medici e infermieri attraversa tutta l’Italia, ma nelle aree interne del Paese, caratterizzate dalla difficoltà di accesso ai servizi, assume i contorni di una “desertificazione sanitaria”. Se il sovraffollamento negli studi dei pediatri è maggiore in alcune province del Nord, la carenza di ginecologici ospedalieri a Caltanissetta è 17 volte peggiore rispetto a Roma. Sono 39 le province più in sofferenza e si concentrano in nove regioni. A fornire la mappa è il report presentato da Cittadinanzattiva. 

Dai paesini dell’Appennino o alpini a quelli della costa calabrese, fino quelli dell’entroterra sardo e ligure, le aree interne rappresentano circa il 53% dei comuni italiani (4.261), ospitano un quarto della popolazione. Tenendo presente le 39 province dove gli squilibri tra numero dei professionisti sanitari e cittadini sono più marcati, sono nove le regioni più colpite: Lombardia (Bergamo, Brescia, Como, Lecco, Lodi, Milano) e Piemonte (Alessandria, Asti, Cuneo, Novara, Torino, Vercelli); seguono Friuli Venezia Giulia e Calabria con quattro province a rischio desertificazione sanitaria quindi Veneto, Liguria ed Emilia Romagna con tre province ciascuna; Trentino Alto Adige e Lazio con due. Nel dettaglio, in provincia di Asti ogni pediatra di famiglia segue 1.813 bambini a fronte di una media nazionale di 1.061. A Bolzano ogni medico di medicina generale segue in media 1.539 cittadini a fronte di una media nazionale di 1.245 pazienti. Nella provincia di Caltanissetta c’è un ginecologo ospedaliero ogni 40.565 donne, mentre Roma vanta la situazione migliore, con uno per 2.292. Considerando invece i cardiologi ospedalieri, la situazione nella Provincia Autonoma di Bolzano è 70 volte peggiore rispetto a Pisa, con un professionista ogni 224.706 abitanti a fronte di uno ogni 3.147.

La fuga degli infermieri italiani all’estero e le richieste di personale

Circa 7mila infermieri hanno scelto di vivere e lavorare lontano dall’Italia. Ma il dato ancora più impressionante è che il 55% di loro non ha alcuna intenzione di tornare, il 30% è in attesa di un concorso per poter rientrare e il 15% è indeciso sul da farsi.

Le destinazioni più ambite non sono una sorpresa: Germania, Spagna, Belgio e Svizzera. Negli ultimi due anni, complice la Brexit, il flusso migratorio verso la Gran Bretagna è notevolmente rallentato e anzi alcuni professionisti hanno deciso di tornare in Italia. «Il fatto che molti infermieri decidano, dopo aver studiato nelle nostre Università, di andare a lavorare all’estero – spiega Silvia Movio, Director della divisione Engineering & Manufacturing di Hunters, Brand di Hunters Group– rappresenta un grande problema che, nei prossimi anni, potrebbe addirittura aggravarsi.

L’emergenza sanitaria ha dato la prima dimostrazione: nei primi mesi della pandemia abbiamo visto sale operatorie chiuse per la mancanza di personale, ambulanze ferme perché senza infermieri, interi reparti con un numero troppo basso di operatori. Una situazione che dobbiamo necessariamente risolvere».

Da cosa dipende la fuga dei cervelli? La prima ragione è sicuramente economica: gli infermieri italiani, infatti, hanno gli stipendi tra i più bassi in Europa. La loro retribuzione netta si aggira intorno ai 1.400 euro al mese che sale a circa 2mila euro dopo molti anni in corsia e con una certa specializzazione. In Germania, nel Regno Unito o in Svezia, invece, lo stipendio medio si aggira intorno ai 2.500 euro, in Francia 1.600, in Spagna 1.700 e in Belgio 2.000. In Svizzera, infine, siamo sui 3.300 euro netti al mese anche se dobbiamo considerare che il costo della vita è decisamente molto alto. 

Il secondo motivo è legato, invece, ai contratti. Solo uno su dieci in Italia, infatti, è a tempo indeterminato e questo porta molti professionisti a cercare opportunità migliori al di fuori dei nostri confini. 

 

 

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