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08 Febbraio 2023

Cresce l’industria della moda, ma servono nuove competenze

Nei prossimi cinque anni saranno 94mila i profili richiesti in un settore sempre più tecnico, digitale e sostenibile. Urso: incentivi all’export e un liceo del made in Italy.

In Italia il sistema della moda conta quasi 66mila aziende, circa 600mila addetti e un fatturato che nel 2021 sfiora i 100 miliardi di euro. Dall’anno scorso si registra un’offerta di posti di lavoro molto superiore al numero dei lavoratori disponibili e le aziende continuano a trovarsi in difficoltà. Secondo uno studio di Altagamma-Unioncamere pubblicato nel libro I talenti del fare 2, il fabbisogno di profili tecnici e professionali nei prossimi cinque anni si stima in 346mila unità rispetto ai 236mila del 2019. Un segnale ambivalente, che indica una criticità̀ e al contempo la significativa crescita del mercato dell’alto di gamma mondiale, che registra nel 2022 un incremento del 21%. Cresce il fabbisogno di figure professionali manifatturiere, di cui però a oggi solo il 50% riesce a essere soddisfatto. Nel dettaglio sono richiesti 108mila profili nell’ Automotive, 94mila nella Moda, 62mila nell’Alimentare, 46mila nel Design e Mobile e 36mila nell’Ospitalità. Artigiani e operai specializzati del settore Tessile, Moda e Accessori, che include calzature e pelletteria sono tra le figure di più difficile reperimento (secondo Unioncamere per il 65,5%). In un Paese come l’Italia, a vocazione industriale, con distretti a forte specializzazione manifatturiera e artigianale, la formazione professionale rappresenta una leva strategica per la competitività delle imprese e del sistema del made in Italy.

Secondo Unioncamere il settore prevede entro il 2026 tra le 63mila e le 94mila nuove assunzioni di professionalità specializzate. Mentre per le rilevazioni del Centro Studi di Confindustria Moda, nel 2021 il fatturato risale a 92,5 miliardi di euro (+22,9% sull’anno precedente), mentre le esportazioni fanno un balzo in avanti del 23,5%. Le competenze specifiche di cui ha bisogno la filiera della moda in Italia hanno a che fare con la sostenibilità, ma anche con la meccatronica, la chimica, il digitale, la meccanica. Secondo le rilevazioni di Confindustria Moda, i profili più ricercati, oltre 40 tipologie, sono individuabili in tre ambiti: tradizionale, digitale, della sostenibilità. Tra le competenze tradizionali ci sono: addetto alla cucitura, disegnatore tecnico, meccanico di tessitura, orafo al banco, addetto alla pianificazione della produzione, perito chimico, responsabile delle risorse umane. Tra quelle digitali si cercano maggiormente: e-commerce manager, digital analyst, supply chain data manager. Tra le professioni della sostenibilità si richiedono: manager della sostenibilità, product life-cycle manager. In questo contesto, da segnalare i due protocolli d’intesa firmati tra Confindustria Moda e Unioncamere e tra Rete Tam e Unioncamere. Entrambi prevedono iniziative di comunicazione e di analisi dei profili professionali per migliorare l’attrattività del settore, favorendo l’orientamento scolastico. Della durata di tre anni, i due protocolli determinano l’impegno delle tre realtà nel costruire un legame sempre più solido fra il mondo del lavoro e il sistema della formazione, al fine di contrastare la disoccupazione giovanile e i fenomeni di dispersione scolastica.

L’industria del lusso è comunque fonte di orgoglio nazionale per l’80% dei consumatori intervistati in Italia e mostra grande resilienza a livello globale, con un ritorno ai livelli di performance pre-Covid e stime di crescita del settore per oltre il 6% tra il 2022 e il 2026. Questo è quello che emerge dal nuovo studio Luxury Outlook 2022, pubblicato da Boston Consulting Group (Bcg) e Comitè Colbert. Il report tiene conto di un’analisi qualitativa effettuata su circa 40 leader del lusso e di un’indagine su 2mila utenti (clienti del lusso e non) in Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Spagna, Svizzera e Stati Uniti. Dall’analisi sui diversi Paesi emerge che l’industria del lusso viene riconosciuta per qualità (secondo il 64% dei clienti del lusso e il 56% dei non-clienti del lusso), artigianato (secondo il 42% dei clienti di lusso e il 41% dei non clienti) e creatività (secondo il 38% dei clienti di lusso e il 30% dei non clienti). Tuttavia, ora più che mai, il lusso si trova ad affrontare un profondo cambiamento che investe diverse aree: produzione e gestione delle risorse, ciclo di vita del prodotto, relazioni con il cliente, responsabilità sociale e globalizzazione. Una strada cruciale per gestire il ciclo di vita dei prodotti è il mercato dell’usato, che registra una crescita a doppia velocità rispetto a quello dei nuovi prodotti e un valore stimato di 50 miliardi di dollari già entro il 2025.

Il mercato permette di dare diverse vite ai prodotti, che arrivano ad essere usati per decadi dopo l’ingresso sul mercato, e per questo motivo è preferito dalle generazioni più giovani, specialmente Gen Z, che per l’83% afferma di voler noleggiare o possedere i vestiti solo temporaneamente. Dall’esperienza fisica al punto di contatto digitale, l’industria del lusso deve declinare la propria eccellenza anche in nuove esperienze di consumo. Non si tratta solo di fare passi avanti in termini di innovazione, ma di non perdere terreno sui nuovi canali online, sempre più popolati dai giovanissimi – che nel futuro saranno i principali consumatori del lusso. Quando si parla di digitale, infatti, dall’analisi emerge che il 65% degli intervistati percepisce l’industria del lusso come in svantaggio rispetto ad altri settori. Quasi sette persone su dieci, infatti, reputano l’esperienza digitale offerta dai brand di lusso ancora ben lontana dell’esperienza in store. Investire nel metaverso può essere l’opportunità giusta per i marchi del lusso, per fare un passo avanti nel mondo digitale e assicurarsi un punto di contatto con i propri clienti presenti e futuri. Il 64% dei consumatori di età tra i 18 e i 34 anni crede che la realtà virtuale faciliti la scoperta di brand di lusso e il 59% crede che possa replicare la funzione dei social media per come li conosciamo oggi.

Impressioni che si rafforzano con la Gen Z e Alpha, che rappresentano i consumatori futuri dei marchi di lusso e risultano sempre più propensi a spendere il proprio tempo on line. Stando a quanto emerso durante le interviste, i brand di lusso hanno già avviato un cambiamento sociale e ambientale, ma, anche se il 62% dei clienti del settore crede che i prodotti di lusso siano di fatto beni durevoli, l’industria deve necessariamente fare di più. Per il 60% dei consumatori il lusso dovrebbe diventare promotore di iniziative di transizione ambientale e sociale e per un altro l’85% le case di moda dovrebbero impegnarsi maggiormente nella gestione dell’intero ciclo di vita dei propri prodotti. A mano a mano che le culture evolvono e le possibilità dei consumatori in alcuni Paesi aumentano, nuovi mercati si aprono al lusso. Tra il 2021 e il 2025 i due terzi della crescita delle aziende del comparto avverrà fuori dall’Europa e dagli Stati Uniti. Resta da risolvere, tuttavia, il rincaro dei costi delle materie prime e dell’energia. L’inflazione è al picco più alto degli ultimi 40 anni, coinvolgendo anche l’industria della moda: se il mercato del consumo di massa è stato il primo a essere colpito, ora anche il settore del lusso ne sta subendo le conseguenze, iniziando a rallentare. 

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La moda cerca avvocati a caccia dei falsi

La contraffazione resta comunque una delle voci che più danneggia la moda italiana. In un mercato che è sempre più globale e digitale, cresce continuamente la richiesta di fashion lawyer, avvocati che siano in grado di gestire le questioni legali che possano sorgere. «Quella del fashion lawyer – precisa Matilde Reggiani, senior consultant di JHunters, brand di Hunters Group – è una professione nell’ambito legale che sta prendendo sempre più piede. Ne troviamo uno, se non vere e proprie divisioni, all’interno dei più importanti studi d’avvocatura specializzati in tutela del diritto d’autore. Negli ultimi tempi abbiamo assistito alla nascita di uffici corporate dedicati, sia in grandi firme sia in aziende di più piccole dimensioni, affinché ci sia un presidio costante e puntuale di questa materia che è davvero molto complessa. I dati che abbiamo parlano chiaro: secondo il nostro osservatorio sono cresciute, nell’ultimo anno, del 10% le richieste di avvocati specializzati in questo settore». Per intraprendere tale percorso professionale è ovviamente necessario il conseguimento della laurea in Giurisprudenza e il titolo di avvocato tramite il superamento dell’esame di Stato. A questo si aggiunge poi un percorso di specializzazione in ambito fashion. L’Accademia del lusso, per esempio, propone una serie di corsi specifici, mentre alcune Università (come la Statale di Milano o la Luiss di Roma) offrono master di II livello che hanno l’obiettivo di veicolare una formazione giuridica altamente qualificata e di respiro internazionale. Il lavoro del fashion lawyer è molto complesso. Chiunque si approcci a tale settore deve avere necessariamente una forte visione multi-disciplinare e trasversale che coinvolge anche alcuni aspetti del marketing. Sono fondamentali, inoltre, una precisa comprensione delle logiche che sottendono il sistema moda ed eccellenti doti relazionali. Questi professionisti dovranno assistere i clienti nelle fasi di ideazione, deposito del marchio, planning, produzione, distribuzione e promozione di prodotti e servizi. Non solo, dovranno affiancarli anche nella tutela del marchio e nella gestione di un eventuale contenzioso. «Un altro aspetto nuovo ed estremamente interessante – conclude Reggiani – riguarda l’influencer marketing per cui il fashion lawyer entra in gioco sia a supporto del brand sia a supporto del singolo influencer. Vi è dunque un mare magnum di potenziali clienti che a oggi necessitano supporto legale. Si tratta di un mercato estremamente complesso e variegato, ma altamente remunerativo: si parla di compensi intorno ai 15mila euro per l’avvio di procedimenti cautelari sommari e che si concludono in 30 giorni, fino ad arrivare a 30mila per l’avvio di procedimenti di merito ordinari. Un fashion lawyer con un’esperienza compresa tra i due e i cinque anni può percepire un compenso che varia tra i 30mila e i 35mila euro lordi annui, a seconda ovviamente della grandezza dello studio o dei clienti che assiste».

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