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21 Maggio 2021

Gallesi (Hunters Group): “Il post-Covid sarà ancora da remoto”

a cura di Marco Scotti

In molti si interrogano sul futuro del mondo del lavoro, per capire che cosa succederà una volta – e ormai sembra che davvero ci siamo – che la pandemia sarà parte del passato. Ci saranno maggiori opportunità (per giovani e meno giovani) in questo momento? E le modalità di lavoro quali saranno? Abbiamo provato a rispondere a questa e ad altre domande con l’aiuto di Joelle Gallesi, Managing Director di Hunters Group.

Come lavoreremo una volta tornati alla normalità? 

L’impatto della situazione pandemica ha accelerato alcuni processi di digital transformation che erano già in atto da un paio d’anni, amplificandone gli effetti non solo all’interno delle multinazionali o delle aziende esterofile – tipicamente influenzate dalla eco della Silicon Valley – ma anche all’interno della piccola imprenditoria locale. Questa ondata di rinnovamento tecnologico ha imposto un cambiamento profondo nei processi e nel modo con cui ci si approccia alla vita aziendale. Si tratta di cambiamento da cui oggi è improbabile tornare indietro e che potremmo riassumere in tre trend importanti: modalità di lavoro orientata al risultato e non più legata alle ore lavorate; centralità dell’analisi di dati a vantaggio della creazione di strategie concrete; temi di sostenibilità, economia circolare e green.

Che prospettive ci sono per i giovani? 

I giovani che si sono approcciati al mondo del lavoro nell’ultimo anno di certo hanno avuto qualche difficoltà di orientamento in più rispetto ai loro predecessori: tra lauree da remoto e chiusure aziendali, l’avvio della carriera professionale ha subito qualche rallentamento. Sebbene l’inclinazione naturale verso le nuove tecnologie dovrebbe facilitare l’ingresso lavorativo remoticizzato, oggi più che mai i giovani professionisti devono farsi muovere da curiosità, assorbendo “come spugne” quelle nozioni tecniche che un tempo si imparavano sul campo e che oggi vengono trasmesse tra una videocall e l’altra.

E per i 50enni che rischiano di venire marginalizzati? 

In questo frangente chi ha maturato lunga competenza beneficia di indubbi vantaggi in termini di appeal lavorativo; potendo inserirsi in azienda con maggior velocità e meno necessità di formazione, che ad oggi viene erogata con maggior difficoltà non potendo usufruire del cosiddetto “training on the JOB” di persona.

Lo smart working sarà il paradigma o progressivamente torneremo in ufficio tutti quanti? 

L’aspettativa è che il ritorno alla normalità porti, nelle funzioni e nelle aziende che lo permettono, a mantenere un modello gestionale misto tra lavoro in smartworking e in presenza, con modello manageriale adattivo rispetto a questa modalità lavorativa. Auspico quindi un modello misto, che proprio che permetta di applicare il vero smart working – quello orientato ai risultati – coniugando la possibilità di collaborare con i colleghi e, allo stesso tempo, di ottimizzare i propri tempi e conciliare così vita privata e professionale.

Ci sono “lezioni” positive che abbiamo imparato durante la pandemia? 

La situazione pandemica ci ha ricordato nuovamente che per innovare serve un punto di rottura rispetto al passato; per trovare un “nuovo modo di fare le cose” bisogna trovarsi nella situazione in cui il “vecchio modo” non è più efficiente ed efficace. La lezione positiva che ci portiamo a casa è quindi quella capacità di cogliere l’opportunità dal momento di crisi.

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