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22 Febbraio 2021

Il lavoro flessibile impone di ripensare gli spazi lavorativi e abitativi

Ecco come il remote working sta influenzando il mercato immobiliare e architettonico

Ad un anno dall’inizio del lavoro da casa, è possibile tracciare gli effettivi cambiamenti che si iniziano consolidare nel mercato immobiliare; dopo lunghe riflessioni sulle condizioni di lavoro che impone il nuovo millennio post Covid-19, Architetti, Esperti di Real Estate e Gestori di Co-Woking sono d’accordo nell’affermare che sebbene si percepiscano in maniera sempre più decisa l’importanza ed il bisogno del contatto umano, non è più possibile pensare alla classica giornata 9-18 in ufficio. Tutto sarà legato ad un nuovo concetto: l’esigenza specifica di recarsi in un determinato luogo (l’ufficio, appunto).

“Questa consapevolezza – afferma Davide Boati, Execuitive Director di Hunters, brand di Hunters Group, società di ricerca e selezione di personale altamente qualificato – ha indotto società di property management e studi di architettura a ripensare gli spazi sociali, lavorativi e abitativi delle grandi città. Il flusso disegnato vede infatti intrecciarsi 3 componenti: da una parte l’ufficio, vissuto come luogo di incontro su esigenza specifica; in secondo luogo la casa, vissuta come luogo di accoglienza, di svago e di lavoro; infine lo spazio sociale e commerciale (pensiamo ai punti di acquisto) che assume una funzione ludica e sempre più di incontro”.

La nuova configurazione del mercato lavorativo ha visto l’evoluzione di di ruoli professionali già noti all’interno del panorama del Real Estate e dell’Architettura, come ad esempio:

Interior Designer: orientati all’architettura di quelle che Alvar Aaltissimo ha definito “case balcone”, cioè degli appartamenti che si estendono orizzontalmente, che siano luminosi e dove siano previsti degli spazi di lavoro e delle aree comuni. Parola d’ordine:massimo minimalismo.

Architetti d’Uffici: in grado interpretare il nuovo “concept” dello spazio d’ufficio, contraddistinto da ampi open space, densi di postazioni, luminosi con una riorganizzazione dello spazio di scrivania, utilizzato come base d’appoggio, ma non in uso esclusivo ad un singolo professionista; un ufficio che preveda delle sale riunioni prenotabili, ben lontano dallo standard anni ’90 dove ogni stanza era dedicata in esclusiva a 1 massimo 5 lavoratori contemporaneamente.

Coworking Community Manager: il volto del co-working. Si occupa di rendere “vivo” lo spazio del co-working, interagendo con membri dello stesso, pianificando eventi (anche online) e garantendo gli standard qualitativi degli spazi. Questo professionista deve conoscere (ed applicare) tutte le disposizioni anti Covid-19. Potremmo definirlo, per certi versi, Covid Manager ovvero un mediatore/traduttore tra l’aspetto legislativo e quello operativo.

Corporate Business & Partnership Manager: se il co-working è divenuto il luogo dove il professionista ritrova le dimensioni umana e personale tipiche dell’incontro, questa figura è il deus ex machina che permette al network di svilupparsi, offrendo servizi a supporto dello sviluppo del personale, spunti per nuove iniziative e uno spazio dove verificare che i progetti siano realizzabili.

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