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03 Novembre 2021

Perché l’Employee Experience è strategica per il futuro dell’impresa

A cura di Nadia Anzani

Nell’era social i dipendenti pesano allo stesso modo dei clienti sulla reputazione di un’azienda. Per questo vanno messi al centro delle strategie di business. Perché un lavoratore soddisfatto, lavora meglio, produce di più e attrae altri talenti.

Da sempre imprenditori e manager hanno messo il cliente al centro delle loro strategie, preoccupandosi che fosse prima di tutto soddisfatto, che avesse un buon servizio pre e post vendita, che vivesse una buona esperienza di acquisto, perché si sa: un cliente soddisfatto costituisce la miglior pubblicità per un’azienda di qualsiasi settore, che offra prodotti o servizi b2b piuttosto che b2c. Oggi tutto questo vale ancora, ma non basta. Una è la domanda che molti esperti nella gestione del cambiamento si sono fatti in questa difficile e sfidante ripartenza: come può un’azienda fare della soddisfazione del cliente una delle leve principali della sua crescita se non ha al suo interno personale soddisfatto? Là dove per soddisfazione si intende coinvolgimento, condivisione di obiettivi, formazione, fidelizzazione.
Già perché, in base a quanto evidenziato da numerose ricerche sul tema quando un’azienda ha una forza lavoro altamente coinvolta, registra un aumento del 20% delle vendite e le valutazioni positive dei clienti lievitano del 10% rispetto a una forza lavoro non coinvolta. Non solo: garantire che i dipendenti attuali e potenziali vedano positivamente l’attività dell’azienda è fondamentale anche per attrarre nuovi talenti e per la produttività complessiva. «Le organizzazioni di qualsiasi dimensione vengono infatti giudicate dai lavoratori e dal mercato in base alla loro cultura, ai vantaggi e all’esperienza del personale, così come alla retribuzione e alle opportunità di avanzamento di carriera», spiega Davide Boati, Executive director Hunters Group, società di recruiting. «E visto il peso dei social nell’opinione pubblica e il numero crescente di siti Web dedicati alle recensioni dei datori di lavoro, una buona opinione dei dipendenti potrebbe fare la differenza tra chi sceglie una determinata azienda rispetto a quella dei concorrenti. Ma non è sufficiente assumere dipendenti di talento, l’importante poi, è trattenerli». Un recente studio condotto dalla società di ricerca Gartner su un campione di oltre 30.000 persone in tutto il mondo, conferma infatti che un dipendente molto impegnato e coinvolto ha l’87% in meno di probabilità di lasciare il lavoro rispetto a colleghi che non lo sono. Un aspetto da non sottovalutare, tenuto conto anche dei costi di assunzione, inserimento e formazione di nuovo personale. Insomma, mettere la forza lavoro al primo posto non è solo la cosa giusta da fare, ma ha senso pure per gli affari.

Più soddisfatti, più produttivi
Non è un caso che nel post pandemia un numero crescente di organizzazioni ha iniziato a riconoscere l’importanza dell’esperienza dei dipendenti mettendola al centro delle proprie strategie. Ma cosa comprende esattamente la employee experience? In pratica tutti i punti di contatto chiave tra datore di lavoro e dipendente: dal reclutamento al pensionamento e tutti i processi, i luoghi e gli strumenti di cui i dipendenti hanno bisogno per lavorare al meglio. Quando questi punti di contatto sono ben allineati, i dipendenti sono nelle giuste condizioni per lavorare bene e con profitto. Secondo Rosario Sica, fondatore e amministratore delegato di OpenKnowledge, società del Gruppo Bip e autore del libro “Employee Experience.
Il lato umano delle organizzazioni nella quarta rivoluzione industriale”, l’employee experience è la nuova frontiera della customer experience. E in una recente intervista rilasciata al Sole24ore ha precisato: «Nell’epoca della trasformazione digitale, comprendere come motivare e rendere felici le risorse umane è semplicemente essenziale».
Concetto che, se all’interno delle grandi organizzazioni inizia a farsi strada, nelle Pmi è ancora all’età della pietra.

Buoni prodotti o servizi non bastano più per competere
Eppure anche i piccoli e medi imprenditori possono sviluppare piani strategici per migliorare il viaggio esperienziale del loro personale. «Tutto parte dal cambiamento culturale. I piccoli imprenditori devono iniziare a fidarsi di manager esterni anche per quanto riguarda la gestione del personale», afferma Boati. «Il tempo dell’imprenditore che si occupa di tutti gli aspetti dell’azienda è finito.
Oggi le sfide sono troppo grandi e importanti per commettere passi falsi». E avere i prodotti migliori è indubbiamente strategico, ma anche la reputazione di un’azienda lo è per competere sui mercati internazionali.
Tanto che molte imprese, nonostante offrano ottimi prodotti o servizi fanno fatica a trovare personale perché hanno ancora una struttura e una gestione troppo ancorata al passato e per questo perdono di attrattività.
«Per questo un cambio di mentalità è essenziale nelle grandi come nelle piccole imprese. In queste ultime, in particolare, gli imprenditori dovrebbero imparare a delegare a manager competenti anche sul fronte della gestione delle risorse umane e qualora l’imprenditore non sia nelle condizioni di avvalersi di un Hr esterno il consiglio è quello di iniziare a rispettare la sfera personale del dipendente e fare in modo che possa raggiungere un buon equilibrio tra vita lavorativa e privata», prosegue Boati. «Non occorrono grandi stravolgimenti organizzativi, bastano piccoli accorgimenti: flessibilità oraria, smartworking se la mansione lo consente, dare la possibilità di festeggiare il giorno del compleanno in famiglia e non in azienda, offrire un percorso di formazione dedicato a tutte le figure aziendali perché non va mai sottovalutato il fatto che i dipendenti abbiano il desiderio di crescere, di migliorare la loro conoscenza di strumenti utili al loro percorso di carriera».

La reputazione aziendale è strategica
Creare un rapporto con il proprio personale è fondamentale, l’importante è che sia un rapporto costruttivo, finalizzato al raggiungimento di obiettivi comuni. «Il consiglio è quello di inserire percorsi di employee analytics, ovvero sondaggi per capire il livello di gradimento dell’esperienza aziendale dei dipendenti e per mettere a punto attività mirate», suggerisce Boati. «L’ideale sarebbe farlo ogni sei mesi in modo, eventualmente di aggiustare il tiro sui programmi di fidelizzazione e comprendere se nel frattempo quello che il dipendente si aspetta rispetto alla propria professione è cambiato o meno», operazioni che possono essere delegate ai responsabili delle varie aree aziendali. L’importante è non stare fermi, pena: il peggioramento della reputazione aziendale.

 

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