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06 Ottobre 2022

Aumentano le opportunità nel settore conciario

Cresce del 13% la richiesta di candidati, ma le aziende fanno fatica a trovarli. Tradizione artigianale e digitale possono andare a braccetto. Accordo con la Conferenza delle Regioni

Il settore conciario rappresenta un mercato storico e fortemente presente in diverse regioni con distretti che racchiudono saperi tecnici e specialistici. La produzione di pelletteria è parte integrante di mercati e settori diversi fra loro: oltre a tutto il comparto moda e lusso, fiore all’occhiello del mercato italiano con epicentro in Toscana nel distretto di Scandicci, seguono il settore Automotive e Arredamento. 

La pelletteria italiana ha terminato il primo trimestre del 2022 registrando un importante aumento delle vendite estere, con l’export al +19,5%, superando i livelli pre-Covid. I principali mercati di destinazione sono Nord America, Paesi Orientali ed Emirati Arabi. Le aziende del comparto hanno registrato recuperi a doppia cifra del fatturato (+18%) e della produzione industriale. Anche le previsioni sul secondo trimestre sono positive, ma in rallentamento a causa dello scoppio della guerra che ha inevitabilmente fatto registrare un crollo nelle vendite dell’area interessata ai mercati di Russia e Ucraina. Caro energia e prezzi delle materie prime al rialzo rappresentano, inoltre, una seria minaccia nel percorso di recupero.

«Il mondo del lavoro che ruota intorno alle aziende operanti nel settore conciario – spiega Gionata Aldeghi, Senior Consultant di Hunters Group – è in forte evoluzione e richiede sempre più specializzazione sul prodotto e sui materiali: occorrono visione trasversale sulle funzioni aziendali, spiccate competenze manageriali, ma anche conoscenze tecniche legate al prodotto, alla materia prima e alle lavorazioni di pellame. In questo modo il know-how artigianale, che si acquisisce lavorando all’interno della filiera, si deve unire a una formazione ingegneristica richiesta dalle aziende per poter affrontare ruoli sempre in evoluzione».

Tra le figure maggiormente richieste c’è sicuramente il responsabile di industrializzazione, il professionista che segue tutte le fasi del processo di produzione e che si occupa della pianificazione delle attività di messa a punto del prototipo industriale. Analizza, inoltre, i costi di produzione e si occupa di innovare – dove possibile – prodotti e processi. È una figura fondamentale, capace di interfacciarsi con le differenti funzioni della filiera produttiva.

Lo stipendio medio è di 50mila euro lordi l’anno per un professionista con 5-6 anni di esperienza; per chi ha meno esperienza, invece, la retribuzione si aggira intorno ai 35mila euro lordi all’anno. Lo stipendio massimo, infine, può superare i 70mila euro lordi l’anno.

Se, da un lato, la richiesta di nuovi manager permette alle aziende di evolversi, crescere e adattarsi alle richieste del mercato, dall’altro si riscontra sempre più un bisogno pressante di figure esperte, con un forte know-how artigianale e produttivo legato alla lavorazione della materia prima. Cresce del 13% la richiesta di candidati, infatti, ma le aziende fanno fatica a trovarli. Investire in formazione sarà l’unica strada per coniugare competenza tecnica con l’evoluzione digitale.

«Le aziende – aggiunge Aldeghi – sono sempre più in difficoltà nella ricerca di modellisti e prototipisti, figure professionali inerenti all’area tecnica e con un solido background alle spalle, fondamentali per il successo dei prodotti e di tutte le imprese del settore. Per le aziende sarà sempre più prioritario investire in formazione, l’unica strada per poter coniugare competenza tecnica manuale con un’evoluzione digitale che corre sempre più veloce».

 

 

 

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