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26 Agosto 2019

E se l’intervistatore fosse un Agente Virtuale?

Agente virtuale: il feedback

Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione.

Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative.
Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione.

Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative.
Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione

L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.

Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress.
Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?

Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.

Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.

Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.

In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

Il mondo dell’informatica e della tecnologia, si sa, è in continua evoluzione e ciò che oggi consideriamo avveniristico, domani potrebbe già essere obsoleto. A questo proposito, un progetto del MIT (Massachusetts Institute of Technology) ci suggerisce che, in futuro, addirittura per il mondo Human Resources e per i candidati potrebbero esservi cambiamenti consistenti.
Già nel 2012, infatti, il MIT ha sviluppato un agente conversazionale virtuale, chiamato MACH (My Automated Conversation coacH). Esso è stato adoperato per la simulazione di colloqui di lavoro al fine di migliorare le prestazioni dell’utente che se ne avvaleva.
In che termini, però, un agente virtuale dovrebbe migliorare le prestazioni dell’utente (candidato)?
Dato che la comunicazione non verbale è uno degli aspetti analizzati in sede di colloquio, l’agente virtuale è stato programmato affinché fosse in grado di riconoscere e mettere alla prova le capacità comunicative non verbali (ad esempio la mimica facciale) degli utenti che lo adoperavano, così da poter rilevare eventuali deficit comunicativi, emozionali e dettati da stress. Sembra dunque un processo semplice ma, nonostante le sembianze antropomorfe dell’agente virtuale, affinché esso risultasse credibile, una equipe di studiosi di varie discipline ha dovuto costituire un prototipo che fosse effettivamente in grado di generare espressioni facciali e comportamenti non verbali che risultassero coerenti e contingenti.
Agente virtuale: la programmazione
L’obiettivo di questo agente conversazionale è stato proprio quello di riuscire a fornire in tempo reale (processando dunque ogni informazione da lui incamerata in maniera rapida ed efficiente) dei feedback sull’andamento della conversazione e dell’esaminazione. Per la programmazione di MACH è stato necessario l’intervento di diversi recruiter che fornissero delle coordinate su che tipo di atteggiamento l’agente virtuale dovesse tenere, che genere di domande dovesse effettuare e che genere di feedback dovesse fornire ai diversi candidati. Questo è stato possibile avvalendosi di Machine Learning che, colloquio dopo colloquio, integravano nel loro “sistema” informazioni aggiuntive e migliorative. Per ottenere dei risultati il più possibile fedeli alla realtà è stato dunque necessario svolgere in primis colloqui reali (con candidati e recruiter in carne ed ossa) e videoregistrarli ad insaputa del colloquiato. In seguito essi venivano analizzati al fine di integrare alcuni aspetti della comunicazione nel modello di programmazione dell’agente virtuale MACH.
Agente virtuale: il feedback
Scopo dell’esperimento, secondo il MIT, sarebbe stato quello di fornire uno strumento utile ai candidati per prepararsi al meglio per colloqui “reali”, avendo quindi, nell’immediato, dei feedback rispetto alla loro performance. Alla fine della simulazione del colloquio con l’agente virtuale era infatti possibile visualizzare due diversi feedback. Il primo rappresentava un commento sull’interazione complessiva, il secondo, invece, permetteva all’utente di riguardare il proprio video. Era quindi possibile vedere come i propri sorrisi, intonazioni, pause e le proprie espressioni facciali cambiassero durante l’intervista, a seconda della reazione a domande più o meno complesse o “scomode”. Questo modello è stato utilizzato fino al 2014 esclusivamente presso il MIT, ma non è da escludere che tra qualche anno, per ognuno di noi, sarà consuetudine avvalersi di simulazioni della stessa tipologia per prepararsi al “colloquio della vita”.   Leggi anche: Smart working: quando la tecnologia ci “rende umani” Technology recruitment: selezionati da una macchina? L’head hunter? Un alleato strategico   → Il blog di Hunters Group: news dal mercato, consigli sul lavoro, notizie sulla vita aziendale

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